Hagia Sofia: un simbolo culturale nel mirino di Erdogan

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di Tommaso Manferdini

E’ di venerdì 10 luglio scorso una notizia che deve assolutamente essere da monito a quanti, forti di una cultura umanistica e laica, non vogliano cedere il passo agli innumerevoli tentativi di privare l’Umanità dei suoi Patrimoni di Cultura, soprattutto se mirati a restaurare forme di arrogante autoritarismo di matrice teocratica.

La Basilica di Santa Sofia, a Istanbul, sarà riaperta al culto islamico a partire dalla preghiera di venerdì 24 luglio; lo ha annunciato lo stesso presidente turco Recep Tayyip Erdogan parlando alla nazione, sostenendo che la riconversione in moschea del monumento simbolo di Istanbul è un «diritto sovrano» della Turchia. Azioni autoritarie e unilaterali come questa sta mettendo in atto il Presidente Erdogan in Turchia; insediato ormai da 6 anni nella più alta carica della Repubblica (inizio mandato: 28 agosto 2014), e forte di una lunga carriera politica che lo ha visto Primo Ministro dello stesso Paese dal 2003 al 2014 e Sindaco di Istanbul dal 1994 al 1998.

Erdogan nell’esperienza politica di Berrin Sonmez

Berrin Sonmez

Chi conosce bene Erdogan e il suo operato è Berrin Sonmez (60 anni), la cui vita incarna tutte le sfumature della cultura turca: oltre ad essere una musulmana praticante, è arcinota come attivista per i diritti civili ed è una convinta femminista; oltre ad aver lavorato e fatto ricerca all’università. Cresciuta in una famiglia che ben rappresenta il secolare multiculturalismo turco, ha sviluppato indipendentemente la sua genuina fede islamica alle scuole superiori, senza alcuna pressione sociale, ne’ familiare. Ha iniziato le sue lotte femministe – dice lei stessa – per difendere le donne dai mariti disonesti. Sonmez rileva come la Turchia sia da sempre composta di un articolato mix di culture e fedi religiose: Cristianesimo ed Ebraismo, oltre all’Islam; in più – rileva sempre Sonmez – la fede islamica in Turchia è anch’essa una questione di sfumature diverse, come diversi sono i territori della Repubblica turca. Erdogan ignora la questione femminile, che stava invece emergendo con forza nella Turchia laica ereditata da Ataturk, egli vuole imporre la sua sola versione di Islam in un Paese fatto di mille sfumature culturali. <<Ciò che sta facendo il Presidente>> – afferma Sonmez – <<è il modellamento di una “Nuova Turchia” ! Invece di sanare le fratture del sistema, di riformare lo Stato e la burocrazia, Erdogan ha capito che può abusare del suo potere per controllarli a suo vantaggio>>[1].

Quella della Turchia del resto è sempre stata una storia complicata, fatta sempre di un potere di controllo esercitato dall’alto. – racconta Sonmez – Nel 1923 il Generale Moustafa Kemal Ataturk creò la Repubblica di Turchia per imprimere una spinta di cambiamento e indurre la modernizzazione del Paese, dopo 800 anni di governo Ottomano. In un attimo vennero banditi il Fez e gli indumenti religiosi, per sostituirli con gli abiti all’occidentale, e la scrittura araba venne sostituita dall’alfabeto Romano per dare alla lingua turca una nuova forma. Ataturk commissionò persino la traduzione del Corano nella lingua turca, scritta con i grafemi latini, perché tutti potessero professare la loro fede nella lingua dei loro genitori, e non in quella Ottomana. Inoltre avviò una decisa campagna di secolarizzazione per separare lo Stato dalla Moschea. Ataturk, insomma, ha guadagnato l’indipendenza del Paese ed io lo rispetto profondamente per questo – sottolinea Sonmez – ma disegnare i contorni di questa indipendenza attraverso una pressione modernizzatrice esercitata dall’alto, e accelerare oltremodo cambiamenti non interiorizzati dalla popolazione, ha contribuito a creare delle fratture. I turchi più apertamente musulmani, fino agli anni ’80 e ’90, venivano marginalizzati per difendere la laicità e la secolarizzazione; lo stesso Erdogan fu arrestato quando nel 1997, da Sindaco di Istanbul, lesse in pubblico quello che molti interpretarono come un testo poetico filo-islamico. Egli poi promise di creare, da Presidente, una Turchia più democratica e inclusiva, e molte attiviste femministe come me – ammette infine Sonmez – lo aiutarono nella sua corsa alle elezioni; tuttavia nel giro di pochi anni, Erdogan iniziò ad attuare la sua brusca “sterzata” attuando, per esempio, una graduale sostituzione delle scuole pubbliche  laiche con le Scuole “Imam Hatip” di impostazione religiosa coranica, inizialmente sperimentate nei villaggi più conservatori delle campagne e oggi aperte anche in molte città turche.

La “sterzata” islamista e autoritaria di Erdogan: la Hagia Sophia ritorna Moschea

Erdogan a Santa Sofia

Sono proprio gli effetti di quella “brusca sterzata” islamista e autoritaria che possiamo constatare oggi, apprendendo della sua decisione di restaurare al culto islamico la moschea di Ayasofya. Quel luogo di culto è il simbolo per eccellenza del multiculturalismo storico di Istanbul, non a caso il suo nome Turco, di tradizione Ottomana, ricalca ancora quello greco delle origini. La città, fondata come colonia  greca di Megara nel 667 a.C., è stata rifondata nel 330 d.C. come nuovo epicentro della Romanità nei territori orientali dell’Impero. Colonizzata per breve tempo dalla cristianità latina dopo la quarta crociata (1204-61), è sempre stata il centro di riferimento religioso per l’Ortodossia cristiana di rito greco, il cui Patriarcato più importante è ancor oggi intitolato a “Costantinopoli-Nuova Roma”. Fino all’anno epocale 1453 quando, conquistata dal Sultano Mehmet II, viene rifondata come città capitale del nuovo Impero Ottomano. Un multiculturalismo storicizzato dunque, testimoniato dal modo in cui diverse civiltà si sono insediate sulle tracce altrui senza cancellarle, ma ostentandole; un multiculturalismo che Ataturk decise di proteggere dall’inevitabile usura del tempo, elevando a Museo Nazionale i resti dell’antico palazzo imperiale, sulla collina di Topkapi, e la Basilica di Hagia Sophia nel 1934. Ritenendo, probabilmente, che il tempo avesse consegnato una stratificazione unica di manifestazioni archeologiche e architettoniche, e che su di esse fosse il caso di calare l’attenzione conservatrice e promotrice di uno Stato che si voleva laico per mostrare ai Cittadini la ricchezza della loro cultura e, per mezzo di quella, educarli ad una nuova Cittadinanza. Insomma, Ataturk desiderava che un edificio così significativo per tanti popoli, tanto da avere tre nomi che in greco (Hagia Sophia), nell’alfabeto Latino (Santa Sofia) e in lingua turca (Ayasopya) ricordano quella dedicazione alla Divina Sapienza risalente al 537 d.C., meritasse di essere studiato e ammirato unicamente in quanto testimone della sua storia, assai lunga e complessa. Come del resto nella città in cui la Basilica risiede, Istanbul, esiste e sussiste la storia delle due città precedenti, Bisanzio e Costantinopoli.

Il Presidente Erdogan ritiene invece che il suo progetto politico per una “nuova Turchia” islamista e monoculturale sia più importante del ricchissimo patrimonio culturale di Istanbul e della varietà culturale della popolazione turca. Per questo, ha emesso un decreto che, in sostanza, annulla gli effetti di quello di Mustafa Kemal Ataturk risalente al 1934 che aveva istituito il Museo Nazionale della grande Hagia Sophia. Ora, il sì definitivo del consiglio di Stato pare confermare anche la data della prima preghiera nella restaurata Moschea, fissata al 24 luglio 2020. Poco più di due settimane per operare un simbolico ritorno allo status quo antecedente la Rivoluzione di Ataturk e dunque, ad un modello di Stato fondamentalmente islamista, monoculturale e, vista l’operazione delle scuole coraniche pubbliche, vistosamente antidemocratica.

Le reazioni internazionali di UNESCO e Grecia

Baluardo contro la privazione alle visite pubbliche e libere di un importante bene multi-culturale (e multi-cultuale) dell’Umanità resta l’UNESCO, in quanto la Grande Hagia Sophia è iscritta dal 1987 nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità (la World Heritage List). E’ uscita infatti, quasi contemporaneamente alla decisione del consiglio di Stato di Ankara, una risoluzione della Sig.ra Direttrice Generale UNESCO, Audrey Azoulay, in cui si esprime il profondo rammarico per la decisione unilaterale delle Autorità turche, presa senza alcuna forma di discussione o concertazione preventiva. Azuolay ricorda che: <<Hagia Sophia è un capolavoro architettonico e una testimonianza unica delle interazioni tra Europa e Asia nel corso dei secoli. Il suo status di museo riflette la natura universale del suo patrimonio e lo rende un potente simbolo per il dialogo>>. Ernesto Ottone, assistente del Presidente Azoulay, sottolinea: <<È importante evitare qualsiasi misura di attuazione, senza una preventiva discussione con l’UNESCO, che influirebbe sull’accesso fisico al sito, sulla struttura degli edifici, sulla proprietà mobile del sito o sulla gestione del sito>>; temendo inoltre per possibili violazioni della Convenzione del 1972 sulla Protezione Patrimonio Mondiale UNESCO che la Turchia ha sottoscritto nel momento in cui ha richiesto l’iscrizione nella WHL (1987). Infatti, i Paesi detentori dei beni si assumono diversi impegni che una restituzione al Culto potrebbe ledere:

Articolo 5 > World Heritage of Humanity Convention, 1972:

Per garantire una protezione e una conservazione le più efficaci possibili e una valorizzazione la più attiva possibile del patrimonio culturale e naturale situato sul loro territorio, gli Stati partecipi della presente Convenzione, nelle condizioni appropriate ad ogni paese, si sforzano quanto possibile:

a.) di adottare una politica generale intesa ad assegnare una funzione al patrimonio culturale e naturale nella vita collettiva e a integrare la protezione di questo patrimonio nei programmi di pianificazione generale;

b.) di istituire sul loro territorio, in quanto non ne esistano ancora, uno o più servizi di protezione, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e naturale, dotati di personale appropriato, provvisto dei mezzi necessari per adempiere i compiti che gli incombono;

c.) di sviluppare gli studi e le ricerche scientifiche e tecniche e perfezionare i metodi di intervento che permettono a uno Stato di far fronte ai pericoli che minacciano il proprio patrimonio culturale o naturale;

d.) di prendere i provvedimenti giuridici, scientifici, tecnici, amministrativi e finanziari adeguati per l’identificazione, protezione, conservazione, valorizzazione e rianimazione di questo patrimonio; e

e.) di favorire l’istituzione o lo sviluppo di centri nazionali o regionali di formazione nel campo della protezione, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e naturale e promuovere la ricerca scientifica in questo campo.

Se da un lato il testo della Convenzione sembra favorire la vita attiva e la funzione collettiva dei Patrimoni, è pur vero che alle lettere c.) e d.) si prescrive di sviluppare gli studi e di prendere i provvedimenti necessari a garantire la corretta identificazione dei beni. In una situazione di restaurazione della funzione di Culto, a vantaggio della sola comunità islamica di Istanbul, vi è buona ragione di pensare che le ricerche e gli studi sul passato bizantino e latino del monumento non riceveranno la stessa promozione che spetterà agli studi riguardanti l’Era Ottomana. Come pure vi è ragione di dubitare che il Monumento verrà reso accessibile ugualmente a tutti, qualunque sia il loro pensiero o il loro Credo; oppure che il Monumento continuerà ad essere presentato e raccontato, laicamente, in maniera rispettosa della sua identità multiculturale.

Il Primo Ministro greco Mitsotakis

Si sono già schierate con l’UNESCO personalità politiche come il primo ministro greco Kyriacos Mitsotakis che, dalla conferenza stampa congiunta col Cancelliere austriaco Sebastian Kurz da Vienna, dichiara: <<La Grecia condanna nel modo più intenso la decisione della Turchia di convertire Hagia Sophia in una moschea. Questa è una scelta che offende tutti coloro che riconoscono anche quel monumento come patrimonio dell’umanità. E ovviamente non influenza solo le relazioni tra Turchia e Grecia, ma anche le sue relazioni con l’Unione Europea>>. Certamente queste possono apparire dichiarazioni di sostegno provenienti da parti contro-interessate, dal momento che entrambi i capi di Governo, conservatori e di destra, si portano dietro i voti delle rispettive comunità Cristiane, Cattoliche nel caso di Kurz e Ortodosse nel caso di Mitsotakis; tuttavia, ciò che conta davvero in questo momento è raccogliere il numero più ampio di sostegni politici possibili, contando che tra di essi qualcuno muova le leve utili per scongiurare la perdita dell’accessibilità pubblica al sito, operando sulla sensibilità per il Patrimonio Culturale. Soprattutto perché gli strumenti a disposizione dell’UNESCO sono pochi e “spuntati”, dal momento che  proporre la rimozione del Monumento dalla WHL, unica forma d’azione in mano all’organismo ONU, non significherebbe altro che consegnare un simbolo importante  d’intercultura alla sola volontà del Presidente Erdogan e del suo Governo. Raggiunto lo scopo, si potranno effettuare a mente fredda tutti i discernimenti sulla natura dei sostegni ricevuti che ora, inutile sottolinearlo, servono.

Nota conclusiva

In quest’articolo ho scelto di parlare di un leader autoritario che arriva a negare l’assetto intrinsecamente multiculturale della Storia dei popoli, sperando forse di ottenere il consenso, o anche solo il beneplacito, del suo popolo. Ho deciso di definire, nel titolo, la Basilica della Hagia Sophia quale “simbolo culturale nel mirino di Erdogan”, semplicemente per mettere in risalto la pochezza di un uomo politico convinto, a proposito di una Nazione costituita di comunità differenti come la Turchia, che sia possibile costruire una cultura nazionale nell’uniformità culturale e cultuale (islamica in questo caso, ma poco importa). In altre parole, Hagia Sophia è la traccia di un Impero Romano d’Oriente fondato e propulso a partire da una colonia greca, colonizzato poi dai Cattolici pur restando profondamente cristiano, seppure alla maniera greca; rifondato poi dagli Ottomani a metà del ‘400 mantenendo un’identità greco-romana pulsante sottopelle. Insomma, la multiculturalità pulsa in ogni angolo dei tessellati dorati, laddove l’icona della Theotokos (in greco, “Madre di Dio”) o le immagini dei cherubini della primigenia Basilica cattedrale di Giustiniano si affiancano alle decorazioni aniconiche e fitomorfe, e ai 4 grandi medaglioni che descrivono in caratteri arabi l’essenza di Dio, nella successiva Moschea. In conclusione, io penso sia sbagliato negare la fruizione collettiva di un bene che testimonia i legami culturali trasversali tra Oriente e Occidente; ancor più se lo si fa per far divenire, il detto bene, appannaggio di una sola comunità di fede e di un solo popolo. Insomma, questo progetto del recupero della Hagia Sophia come Moschea, dopo 86 anni ch’essa esiste come Museo Nazionale, e che viene manutenuta unicamente per testimoniare la sua Storia; ebbene, questo progetto non può che rappresentare un atto di damnatio memoriae rispetto al  disegno di Atatürk per una Turchia laica e repubblicana. Un progetto che non potrà restituircela in altro modo, se non più confessionale nel pensiero, conservatrice nelle azioni, buia nelle prospettive.

Bibliografia essenziale:

https://www.ilsole24ore.com/art/turchia-ok-consiglio-stato-santa-sofia-potra-tornare-moschea-AD65Qfd?refresh_ce=1

https://www.rainews.it/dl/rainews/media/Turchia-Santa-Sofia-puo-tornare-moschea-annullato-il-decreto-del-1934-che-la-trasformo-in-museo-1006e996-14a4-48bd-b8e5-c8310ee8984e.html#foto-7

Berrin Sonmez knows what can happen in Turkey when piety becomes political >

https://www.cbc.ca/news/world/stung-by-secularism-now-defending-it-a-muslim-feminist-worries-about-erdogan-s-new-turkey-1.4378607

https://www.ilsole24ore.com/art/tensione-unesco-turchia-la-trasformazione-santa-sofia-moschea-ADD03ld

Risoluzione UNESCO > https://en.unesco.org/news/unesco-statement-hagia-sophia-istanbul

Convenzione UNESCO 1972 > https://whc.unesco.org/archive/convention-en.pdf

https://www.reuters.com/article/us-turkey-museum-verdict-greece-idUSKBN24B2UF?taid=5f08d92856bb3f000175c823&utm_campaign=trueAnthem:+Trending+Content&utm_medium=trueAnthem&utm_source=twitter

[1]Stung by secularism, now defending it: A Muslim feminist worries about Erdogan’s ‘new Turkey, Nil Köksal · CBC News · Posted: Oct 31, 2017 3:59 PM ET | Last Updated: June 19, 201

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