di Vittorio Savini
51 anni fa un ordigno esplodeva nel salone della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano, sita in piazza Fontana, provocando 17 morti e 88 feriti. Subito le istituzioni e la tv di Stato affermano come i mandanti dell’attentato fossero gli anarchici milanesi, i quali furono via via arrestati e interrogati presso la locale questura. La “pista anarchica” si rivelerà poi del tutto falsa, frutto dei frequenti depistaggi dell’epoca, dovendo l’attentato attribuirsi al gruppo neofascista “Ordine Nuovo”.
Il 15 dicembre muore assassinato presso la questura di Milano Giuseppe Pinelli, militante anarchico del Circolo di Ponte della Ghisolfa, collettivo anarchico posto al centro delle prime indagini sulla strage a causa dei depistaggi. In occasione del 51° anniversario dell’omicidio, in Piazza Fontana a Milano si è tenuta una serata in suo ricordo e per chiedere che sia riconosciuto come vittima dello Stato. Durante l’evento è stato proiettato il film/documentario “Pino, vita accidentale di un anarchico” di Claudia Cipriani.
Siamo riusciti a parlare con Silvia Pinelli, figlia di Giuseppe, che al tempo dei fatti aveva appena 9 anni, disponibile a rispondere alle nostre domande, ha ribadito come:“Le istituzioni sono fatte da persone, bisogna cambiare queste persone e la mentalità fascista che c’è in Italia. Perché il fascismo non è solo quello del manganello ma è anche un modo di pensare; lo vediamo con quello che sta succedendo adesso anche nei confronti degli immigrati” sostenendo che anche se il fascismo non si presenta più con forme e sigle palesi è una mentalità ancora esistente e che è alla base di tanti casi di cronaca in cui lo Stato e le Forze dell’Ordine sono stati carnefici sia in omicidi politici come quello di Roberto Franceschi o Carlo Giuliani ma anche il altri casi come quello di Aldrovandi o di Cucchi.
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